Riflessione di Don Lorenzo Celi, a margine dell’emergenza “coronavirus” e del rientro anticipato dalla Terra Santa

Sicuramente molti di voi hanno già letto le parole che il Dirigente scolastico del Liceo “Volta” di Milano ha inviato ai suoi studenti, nei giorni scorsi in cui scoppiava l’emergenza “coronavirus”. Si tratta di un testo molto significativo che invita a pensare e a riflettere anche sui nostri stili di vita e sulla fragilità del nostro essere uomini. Dice l’importanza della scuola, non solo come principale luogo educativo, ma come istituzione sociale. Invita alla responsabilità, anche nell’uso del tempo che l’emergenza forzatamente rende “libero”: e questo vale per studenti e alunni.

A chi vive una vita cristianamente orientata poi, il richiamo al Manzoni ricorda che tutti siamo chiamati a sentirci amati dalla Provvidenza (che non è una realtà evanescente ma la cura che Dio ha per l’umanità), strumenti nelle sue mani: tra le cose preziose che in questi giorni possiamo compiere, vi sia anche la riscoperta del gusto della preghiera e del confronto con la Parola e momenti di sana compagnia soprattutto con chi è solo o scoraggiato.

Ecco il testo della lettera del Dirigente:

“La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia…..”

Le parole appena citate sono quelle che aprono il capitolo 31 dei Promessi sposi, capitolo che insieme al successivo è interamente dedicato all’epidemia di peste che si abbatté su Milano nel 1630. Si tratta di un testo illuminante e di straordinaria modernità che vi consiglio di leggere con attenzione, specie in questi giorni così confusi. Dentro quelle pagine c’è già tutto, la certezza della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, la razzia dei beni di prima necessità, l’emergenza sanitaria…. In quelle pagine vi imbatterete fra l’altro in nomi che sicuramente conoscete frequentando le strade intorno al nostro Liceo che, non dimentichiamolo, sorge al centro di quello che era il lazzaretto di Milano: Ludovico Settala, Alessandro Tadino, Felice Casati per citarne alcuni. Insomma più che dal romanzo del Manzoni quelle parole sembrano sbucate fuori dalle pagine di un giornale di oggi.

Cari ragazzi, niente di nuovo sotto il sole, mi verrebbe da dire, eppure la scuola chiusa mi impone di parlare. La nostra è una di quelle istituzioni che con i suoi ritmi ed i suoi riti segna lo scorrere del tempo e l’ordinato svolgersi del vivere civile, non a caso la chiusura forzata delle scuole è qualcosa cui le autorità ricorrono in casi rari e veramente eccezionali. Non sta a me valutare l’opportunità del provvedimento, non sono un esperto né fingo di esserlo, rispetto e mi fido delle autorità e ne osservo scrupolosamente le indicazioni, quello che voglio però dirvi è di mantenere il sangue freddo, di non lasciarvi trascinare dal delirio collettivo, di continuare – con le dovute precauzioni – a fare una vita normale. Approfittate di queste giornate per fare delle passeggiate, per leggere un buon libro, non c’è alcun motivo – se state bene – di restare chiusi in casa. Non c’è alcun motivo per prendere d’assalto i supermercati e le farmacie, le mascherine lasciatele a chi è malato, servono solo a loro. La velocità con cui una malattia può spostarsi da un capo all’altro del mondo è figlia del nostro tempo, non esistono muri che le possano fermare, secoli fa si spostavano ugualmente, solo un po’ più lentamente. Uno dei rischi più grandi in vicende del genere, ce lo insegnano Manzoni e forse ancor più Boccaccio, è l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, l’imbarbarimento del vivere civile. L’istinto atavico quando ci si sente minacciati da un nemico invisibile è quello di vederlo ovunque, il pericolo è quello di guardare ad ogni nostro simile come ad una minaccia, come ad un potenziale aggressore. Rispetto alle epidemie del XIV e del XVII secolo noi abbiamo dalla nostra parte la medicina moderna, non è poco credetemi, i suoi progressi, le sue certezze, usiamo il pensiero razionale di cui è figlia per preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità. Se non riusciremo a farlo la peste avrà vinto davvero.

Vi aspetto presto a scuola.

Domenico Squillace

Io sono rientrato anticipatamente ieri sera con il Gruppo di insegnanti di religione dal pellegrinaggio in Terra Santa; saremmo infatti dovuti tornare domenica sera ma le autorità israeliane ci hanno costretto ad uscire dal Paese entro la giornata di ieri. 

Abbiamo trascorso cinque giorni ricchissimi sulle strade della terra di Gesù; lo abbiamo incontrato nei luoghi dove ha preso dimora in mezzo a noi, nelle intense celebrazioni vissute, nello studio e nella preghiera che ha naturalmente abbracciato le persone colpite dal virus o comunque in difficoltà per esso (in particolare gli abitanti dei nostri paesi). 

Abbiamo sentito il Signore accanto anche nell’emergenza del rientro forzato; questa paradossale situazione (cacciati da Israele ma nell’incertezza di poter partire per sospensione dei voli da parte di varie compagnie) ci ha fatto molto riflettere: ci siamo sentiti anche noi un po’ “profughi”, respinti, guardati con sospetto perché possibili “portatori del virus”; noi, comunque, pur nell’incertezza e nella precarietà eravamo in situazione protetta, con tutti i comfort e le salvaguardie… a fortiori il pensiero è corso a chi invece è davvero profugo o esule, a tanti donne, uomini e bambini costretti per giorni in mare o accampati ai confini degli Stati e respinti perché ritenuti infetti dal virus della miseria e della povertà… al di là del “coronavirus”, forse non ci siamo accorti che il virus più pericoloso resta quello dell’indifferenza e della discriminazione e che l’antidoto migliore è quello di recuperare il senso della fraternità, sentendoci uniti e responsabili gli uni degli altri. 

Anche questo ci hanno insegnato questi intensi giorni trascorsi alla scuola di Gesù Maestro! Chissà che nelle nostre scuole, dopo la dura prova che stiamo vivendo, si trovi il tempo di parlare anche di questo e di condividere pensieri buoni che fanno bene al singolo e a tutta la comunità.

 

Padova, 29 febbraio 2020

                                                                                              Don Lorenzo Celi

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