Una recente sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, (6 aprile 2010, N. 1911/10 Reg. Dec.) ha stabilito che nell'autorizzazione concessa dal Consiglio di Istituto ad una visita del Vescovo nella scuola, “non può riconoscersi un effetto discriminatorio nei confronti dei non appartenenti alla religione cattolica”, dal momento che “la visita programmata non può essere definita attività di culto, né diretta alla cura delle anime, ma assume piuttosto il valore di testimonianza culturale, tesa ad evidenziare i contenuti della religione cattolica, sotto il profilo della opportuna conoscenza, così come sarebbe nel caso di audizione di un esponente di un diverso credo religioso o spirituale”.
La pronuncia del Consiglio di Stato fa riferimento ad un ricorso presentato nel 2007 dall'UAAR-Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti al TAR di Venezia avverso la delibera di un Istituto comprensivo statale in provincia di Padova che aveva autorizzato la visita del Vescovo nelle proprie scuole. Il TAR Veneto aveva respinto il ricorso per difetto di legittimazione attiva della suddetta associazione la quale ha dunque presentato ricorso al Consiglio di Stato. Questo organo giurisdizionale ha censurato la motivazione formulata dal TAR Veneto, ma ha comunque respinto quel ricorso perché l'invito della scuola al vescovo per una sua visita non è per compiervi atti di culto e non offende nessuno.
E' interessante la sentenza di questo organo della magistratura che è al massimo grado della Giustizia amministrativa e che ha valore giurisprudenziale su tutto il territorio nazionale. Essa
è sulla linea di una giurisprudenza costituzionale, poiché anche dell'invito/visita del vescovo a scuola si può dire che “non è causa di discriminazione e non contrasta – essendone anzi una manifestazione – col principio supremo di laicità dello Stato” (cf Sentenza n. 13 del 1991).
Trova conferma così il senso della laicità dei nostri ordinamenti fondamentali tra i quali la scuola: la laicità non consiste nell'impedire interventi pubblici o manifestazioni o pubblica esposizione di simboli religiosi, ma nell'assicurare libertà di espressione ad ogni comunità e il diritto di far conoscere o manifestare anche pubblicamente le proprie tradizioni, i princìpi e i valori che si professano, entro i limiti previsti dalla legge. E' principio di laicità “inclusiva”, ossia non esclusiva o escludente.
E' conforme a questo stesso principio il fatto che la Chiesa riconosce il diritto anche dei non cristiani alla libertà religiosa e a luoghi propri di preghiera, come riconosce che è diritto/dovere dello Stato ottenere le garanzie e vigilare perché in alcun luogo nessuno predichi dottrine contrarie alle leggi del nostro ordinamento costituzionale e al bene comune.