Molteplici interventi a commento della recente sentenza del Consiglio di Stato (7 maggio 2010), che ha riconfermato che anche l’insegnamento della religione cattolica trova posto tra gli elementi in base ai quali il consiglio di classe ha la facoltà di stabilire il punteggio del credito, sono caduti nell’erroneo presupposto che il voto della materia religione concorra a stabilire la media.
Per permettere al lettore non addetto ai lavori di comprendere la questione va ricordato che nel 1997 è stato introdotto, nell’ambito della riforma degli esami di Stato il «credito scolastico». Al termine dello scrutinio finale degli ultimi tre anni viene attribuito un punteggio che fa riferimento alla media dei voti ottenuti nelle diverse materie. In base alla media dei voti, espressi in numero da uno a dieci, viene attribuito un punteggio rigidamente definito da tabelle ministeriali. La somma dei punteggi conseguiti nei tre anni entra nel voto finale dell’esame di Stato.
Un esempio potrà chiarire meglio di che si tratta. Un alunno che nel terzultimo anno sia promosso con la media del 6 si vedrà attribuire tre punti, se promosso con la media da 6,1 a 7 quattro punti, se promosso con la media da 7,1 a 8 cinque punti, se promosso con una media superiore all’8 sei punti.
L’insegnamento della religione cattolica si conclude non con un voto espresso in numero, ma con una valutazione (insufficiente, sufficiente, molto, …) che come tale non entra a far media con le altre discipline.
Determinata la media, e – giova ripeterlo – la valutazione conseguita in religione non incide in nulla nella media di promozione, il Consiglio di classe può attribuire come credito scolastico un ulteriore punto per le fasce di media sino all’8 e due punti per la fascia di media superiore all’8, in base ad elementi definiti anch’essi dalle norme: assiduità della frequenza; grado di partecipazione alle lezioni in classe; partecipazione, per libera scelta ovviamente, alle altre iniziative organizzate dalla e nella scuola e ad attività esterne alla scuola ma coerenti con il percorso di studi che si segue (quest’ultimo è il cosiddetto «credito formativo»). Tra le attività valutate dai consigli di classe ed organizzate dalla scuola si trova una grande varietà di iniziative: da approfondimenti nelle discipline curriculari ai tornei sportivi, dalla frequenza del cineforum alle attività teatrali, dalla redazione del giornale studentesco ai corsi di cucina, ai corsi di ballo, ecc. Ben più ampia, come si può immaginare, si è rivelata la gamma delle attività esterne alla scuola e che gli alunni chiedono vengano prese in considerazione come credito formativo. Alcune pregevoli, altre sicuramente assai meno.
E qui torniamo al punto. Quello che la sentenza del TAR del Lazio, l'estate scorsa, aveva voluto sostenere è che l’aver scelto di seguire l’insegnamento di religione cattolica non debba essere neppure preso in considerazione come credito scolastico. Il Consiglio di Stato ribadisce invece che la frequenza dell’IRC va presa in considerazione. Precisa però, e la precisazione vale per ogni altra attività, che l’alunno “è valutato per come si comporta, per l'interesse che mostra e il profitto che consegue”. Non basta in altri termini la quantità delle attività seguite. Quel che conta è la loro qualità e come le si segue.
E’ venuto fuori un finimondo per la sentenza del Consiglio di Stato. Scandalo, stupore attonito, indignazione fremente, condanna. Il bello è che lo scandalo, spesso, ha preceduto l’analisi di merito. Ancora più affascinante appare questa reazione se si considera che in senso stretto non è stata cambiata nessuna regola, si è semplicemente riaffermata le legittimità dell’interpretazione sin ora data.
L’espressione di opinioni diverse e dissenzienti è sicuramente sintomo di libertà e come tale va rispettata e tutelata. Ciò che non è invece accettabile è il travisamento dei fatti per fondare più credibilmente quanto si desidera sostenere.
Massimo Mogno
già preside del Liceo scientifico Nievo