Cenni storici
Poco prima dell’unità d’Italia, nel Regno di Sardegna la legge n. 3725 del 13 novembre 1859, promulgata dal ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Casati, aveva introdotto, tra le discipline oggetto di istruzione pubblica, anche la religione cattolica. L’insegnamento era obbligatorio per i soli primi due anni delle elementari ed era impartito dal maestro unico. Nelle scuole secondarie l’insegnamento era garantito da un direttore spirituale.
Tuttavia, l’insegnamento non era impartito in una specifica ora di religione, ma nell’ambito del complessivo programma educativo. Infatti, l’ora di religione fu introdotta durante il fascismo, solo a seguito del Concordato del 1929 (Patti Lateranensi).
Il regio decreto n. 4151 del 24 giugno 1860 (“Regolamento per le scuole normali e magistrali degli aspiranti maestri e delle aspiranti maestre”) introduceva l’obbligatorietà dell’insegnamento anche per le scuole magistrali, destinate a formare i futuri maestri. Nelle Università furono vietati gli insegnamenti contrari ai principi religiosi.
Le Istruzioni relative ai Programmi del 15 settembre 1860, chiarivano che l’insegnamento della religione cattolica aveva il compito di inculcare nei fanciulli l’idea dell’importanza della «obbedienza […] verso le Podestà costituite, non già per timore de’ castighi, ma per ossequio a quei principi di pubblico interesse, che esse rappresentano e tutelano»: sostanzialmente, l’insegnamento della religione cattolica era concepito, da parte dello Stato, come rafforzamento dell’autorità politica.
Il regio decreto 9 novembre 1861, n. 315 (“Regolamento per le scuole normali e magistrali e per gli esami di patente de maestri e delle maestre delle scuole primarie”), indicava come materia di insegnamento “religione e morale” mentre “catechismo e storia sacra” era la prima materia obbligatoria per gli esami, sia scritti che orali.
Nei programmi del regio decreto del 10 ottobre 1867 del ministro Michele Coppino, autore della legge sull’istruzione obbligatoria, l’insegnamento della religione cattolica passava in secondo piano rispetto all’italiano e all’aritmetica, materie considerate essenziali per cementare la recente e precaria unità nazionale, in un paese largamente analfabetizzato e che da poco aveva introdotto in tutto lo stato il sistema metrico decimale.
All’indomani della Breccia di Porta Pia e della fine del potere temporale del Papa, la circolare del 29 settembre 1870, del ministro della Pubblica Istruzione Cesare Correnti, stabiliva che l’istruzione religiosa scolastica venisse impartita solo su richiesta dei genitori.
Il 26 gennaio 1873 venivano soppresse le Facoltà teologiche di Stato e non furono mai più ripristinate. Rimasero in vita solo quelle ecclesiastiche, i cui titoli di studio non venivano però riconosciuti dallo Stato.
La legge 23 giugno 1877, n. 3918 (esecutiva dal primo gennaio 1878), che regolava il nuovo ordinamento dei licei, dei ginnasi e delle scuole tecniche, abolì la figura del “direttore spirituale” nei licei-ginnasi e nelle scuole tecniche.
Nel 1888 la commissione presieduta da Pasquale Villari, incaricata dal ministro Paolo Boselli di redigere i nuovi programmi per la scuola elementare concludeva con una relazione del segretario Aristide Gabelli che «lo Stato non può fare, né direttamente né indirettamente una professione di fede, che manchevole per alcuni, sarebbe soverchia per altri» (Relazione a S.M. sulla riforma dei programmi per le scuole elementari del ministro Paolo Boselli). Pertanto nei programmi del 1888 l’insegnamento della religione cattolica fu di fatto soppresso. Infatti il regio decreto 16 febbraio 1888, n. 5292 (“Regolamento unico per l’istruzione elementare”), estendeva la facoltatività dell’insegnamento delle “prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino” a tutto il corso d’istruzione elementare a discapito dell’insegnamento della Religione cattolica.
Questa impostazione fu confermata nel 1894 dal ministro Guido Baccelli.
I programmi del 1905, scritti dal filosofo Francesco Orestano, segnavano la definitiva espulsione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali. Tuttavia il decreto 9 ottobre 1895, n. 623 e il regio decreto 6 febbraio 1908, n. 150 confermavano la facoltatività dell’insegnamento religioso che doveva essere tuttavia impartito “a cura dei padri di famiglia che lo hanno richiesto”, quando la maggioranza dei consiglieri comunali non decidesse di ordinarlo a carico del Comune.
Il 14 gennaio 1908 veniva approvato a Roma questo ordine del giorno: «Il Consiglio Comunale di Roma fa voti perché Governo e Parlamento, in coerenza alle leggi vigenti, dichiarino esplicitamente estranee alla scuola primaria qualsiasi forma d’insegnamento confessionale». La cd “mozione Bissolati”, dal nome del suo presentatore, il deputato della sinistra post risorgimentale Leonida Bissolati, venne respinta alla Camera con 347 voti contrari e 60 favorevoli.
Nel 1923, durante il governo fascista, la riforma della scuola rese obbligatorio l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari, con decreto reale del 1º ottobre del 1923, n 2185, del ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile. La circolare n. 2 del 5 gennaio 1924 garantiva comunque agli alunni che professavano altre fedi di astenersi dall’insegnamento della Religione cattolica. Con il concordato del 1929 si introduceva e rendeva obbligatoria l’ora di religione anche nelle scuole medie e superiori, quale «fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica».
La legge del 5 giugno 1930, n. 824 esecutiva dell’art. 36 del Concordato stabiliva che «l’insegnamento della religione è conferito per incarico annuale, dal primo ottobre di ogni anno al 30 settembre dell’anno successivo, dal capo dell’istituto, inteso l’ordinario diocesano. L’incarico è affidato a sacerdoti e religiosi approvati dall’autorità ecclesiastica; in via sussidiaria, a laici riconosciuti idonei dall’ordinario diocesano».
Solo con il Concordato del 1984 venne meno l’obbligatorietà dell’insegnamento. Nelle modifiche concordatarie del 1984 (L. 121/1985 di applicazione del concordato) la formula viene trasformata così: «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado».
La legge è stata poi applicata attraverso Intese fra lo Stato italiano e le diverse confessioni religiose (L.449/1994, 516 e 517/1988, 101/1989, 116 e 520/1995 con valdesi e metodisti, avventisti, pentecostali, ebrei, battisti e luterani) e, per gli aspetti più strettamente organizzativi, dalle successive Intese fra il Ministero della Pubblica Istruzione e la Conferenza episcopale italiana (Dpr 751/1985 modificato dal Dpr 202/1990, fino alla più recente contenuta nel Dpr 175/2012).
Una materia da scegliere
Nel contesto storico inaugurato dalla Costituzione della Repubblica (1 gennaio 1948), in seguito all’archiviazione dello Statuto Albertino del 1948 che riconosceva la religione cattolica come religione dello stato, l’Accordo concordatario del 1984 prevede per tutti l’obbligo di scelta, sia per chi si avvale della religione cattolica sia per chi non se ne avvale. Precedentemente solo coloro che facevano domanda di esonero, erano “dispensati dall’obbligo di frequentare l’IRC” (Legge n. 824/1930).
La configurazione dell’IRC come materia da scegliere o meno, rappresenta una sfida per i docenti in cattedra. Non solo dal nuovo accordo sono tenuti al pari degli altri docenti ad esibire adeguati titoli di studio e qualificazioni, ma sono consapevoli che da loro dipende in certa misura il “favore” dei giovani o dei genitori riguardo la “scelta” di avvalersi. Formazione permanente, aggiornamento continuo, preparazione accurata lezione dopo lezione, stile di presenza in classe e capacità di dialogo con gli alunni, assiduità alle attività collegiali e di programmazione e ai consigli di classe… tutto questo si rivela indispensabile per “un’ora di religione” che vinca negli alunni il disinteresse, la passività o la noia, oppure la tentazione di “non far niente” o di fare qualcos’altro di più immediato interesse. E serve soprattutto a porre la massima attenzione all’arte del dialogare, al lento maturare degli allievi, alla pazienza educativa, all’abile regia di animare una classe, per meglio contribuire, in armonia con le altre discipline, allo sviluppo delle capacità critiche degli allievi, rendendoli capaci di scelte libere, consapevoli, motivate e responsabili, in vista del loro inserimento nel mondo professionale e civile.
In un certo senso, l’innovazione didattica della religione cattolica potrebbe diventare insegnare qualcosa alla didattica delle altre materie, ove non si debba imparare al solo fine o sotto la minaccia del voto, ma per l’amore di crescere come uomini e come cittadini.
L’IRC, pur avendo un riferimento confessionale, nulla ha a che fare con un’imposizione educativa o con tentativi più o meno velati di fare conversioni o proselitismi. Infatti, decidere di avvalersi dell’IRC per un ragazzo non significa dichiararsi cattolico, ma piuttosto scegliere una disciplina scolastica che si ritiene abbia un valore per la crescita della persona e la comprensione della realtà in cui si è inseriti.
Differenze tra insegnamento e catechesi
In ragione di quanto sopra affermato, vale la pensa sottolineare le differenze tra insegnamento e catechesi.
IRC: comporta la trasmissione di conoscenze documentate sulle fonti della religione cattolica, soprattutto la Bibbia, e sui documenti della Tradizione storica, culturale, artistica dell’Italia principalmente e dell’Europa. Non è attività catechistica, ma non è neppure nuda trasmissione di informazioni, perché è materia scolastica, che deve porre al centro la persona umana dell’alunno e il suo diritto-dovere di coltivare saperi e abilità e acquisire delle competenze. Perciò l’IRC deve corrispondere alle esigenze pedagogiche, didattiche e di organizzazione delle diverse discipline nel quadro del Piano dell’offerta formativa unitario e organico. Avviene in un luogo pubblico aperto a tutti. È destinato a qualsiasi alunno, indipendentemente dal credo religioso di appartenenza, che ne abbia espresso la scelta. L’orizzonte di riferimento è il conoscere, non il divenire credente o cattolico. È per l’alunno sviluppare nel dialogo la propria identità personale ed etica, non l’adeguamento al “fan tutti così” o peggio al “branco”. Interessa alla scuola e al docente che l’alunno non diventi vittima di ciò che l’ignoranza porta con sé in una società pluri-culturale, pluri-etnica e pluri-religiosa.
Catechesi: è attività propria della comunità credente e si svolge nell’ambito di un percorso di iniziazione alla fede, il cui luogo primario è (o dovrebbe essere) la famiglia. I percorsi della catechesi comprendono la preghiera comunitaria e si svolgono perciò in luoghi diversi dalla scuola pubblica, sia statale che di ispirazione cristiana, quali la parrocchia, l’oratorio detto anche patronato, il gruppo catechistico. Attraverso la testimonianza e l’annuncio di Cristo che salva qui e ora, la catechesi mira a sviluppare un cammino di fede all’interno della comunità cristiana. L’orizzonte di riferimento è il credere e il professare la fede cristiana.
Ovviamente l’insegnante di religione (IdR) non può esimersi da testimoniare la propria fede all’interno della struttura scolastica, per la liberazione di tutto ciò che umilia l’uomo e per valorizzare tutto ciò che favorisce la promozione e il rispetto e la dignità della persona umana.
Traguardi nella Scuola dell’Infanzia e nel Primo Ciclo e Indicazioni Sperimentali nel Secondo Ciclo
Cosa cambia per l’IRC nel PRIMO CICLO
Cosa cambierà per l’IRC nel SECONDO CICLO
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