L'ARTE DI EDUCARE: PRESENZA E PROFEZIA

La Fondazione Bortignon per l'educazione e la scuola compie dieci anni e ne celebra il 3 dicembre l'anniversario con il convegno suL'arte di educare”. Intende così annunciare ciò che già è e potrà essere. Tanto più nel servizio alla Chiesa di Padova in preparazione al secondo Convegno ecclesiale di Aquileia con le Chiese del Nord est.

L'educazione, come l'opera d'arte, dice sogno di futuro e bellezza, passione e libertà. È arte perché è anzitutto relazione tra persone, è un fatto di comunicazione, e non si riduce alla comunicazione verbale. Perché è fatta di dialogo come esercizio di libertà e scambio di esperienza di vita, per l'educatore come per l'educando. Se oggi si parla di crisi dell'educazione, di sfida e di emergenza educativa, occorre guardare più a fondo, al cuore e alla radice di circostanze che oscurano la coscienza di sé, a quell'atmosfera diffusa che si ravvisa in “una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita”, come ha scritto Benedetto XVI.

L'educazione è possibile, ma è “opera d'arte” solo a talune condizioni. Primo non esiste una educazione neutrale, l'educatore non può fingersi dietro una maschera, nascondendo ciò in cui crede della vita, dello spirito, della religione, per lo stesso motivo per cui non può nascondere il suo volto.

Secondo, nel parlare di educazione si ricorre spesso al paradigma della generazione. Fin dal principio della vita colei che ha dato alla luce il bambino è la stessa che dopo il primo vagito ne ha acceso anche il sorriso. Il processo dell'educazione prende avvio dall'evento della generazione. Significativamente, nel linguaggio biblico uno stesso verbo ebraico si può tradurre circondare come educare: di Dio, nei confronti del suo popolo, si legge che “lo circondò, ne ebbe cura, lo allevò e lo custodì come pupilla del suo occhio” (Dt 32,10). Lo circondò e lo educò: l'educare appartiene a Dio prima che all'uomo ed è fatto di cura affettuosa. Anche l'educazione non può che rispondere all'appello indicibile e sovrano di Dio.

Terzo, la correlazione tra generazione ed educazione è ancor più significativa nei nuovi contesti sociali e culturali di oggi, ove i sociologi parlano delle giovani generazioni come “figli del desiderio”. Il figlio del desiderio porta sulle spalle il peso di dover corrispondere e non tradire le umane aspettative di creature umane. Mentre, il compito dell'educazione è accompagnarsi per mano al bambino come al preadolescente o al giovane, per fargli sentire la libertà di coltivare desideri propri e progetti personali di vita, ma nella sicurezza di non essere solo. Quella mano e quel volto gli sono offerti per cercare insieme il significato stesso per lui della bontà della vita. Il desiderio  dunque prende forma, cammin facendo, nel riconoscere e volere per come libera conquista una identità che è già iscritta nel proprio Io. Una vocazione, ossia una chiamata all'amore lasciandosi amare da un Dio che è Amore.

Si tratta di una relazione feconda tra presenza e profezia, tra relazione e progetto, scrive Franco G. Brambilla in un libro appena pubblicato per ricordare don Luigi Serenthà, un confratello grande educatore morto troppo giovane 25 anni fa. Chi educa vuol farsi attento fino allo stremo alla comprensione per il cammino di ogni persona, per le sue fatiche e i suoi erramenti, ma non rinuncia profeticamente a indicare l'ideale, il progetto o il sogno, con proposte perfino coraggiose. E non manca di raccontare quelle esperienze di chiamata dei primi discepoli che giungono a noi attraverso le pagine del Vangelo. Racconti assolutamente necessari per la loro forza maieutica, anche per discorrere con il giovane di altro credo o di nessuna fede e aiutarlo a riconoscere passi da fare per essere quello che a lui stesso piacerebbe essere: un capolavoro, opera di Artista.

d. Franco Costa