A proposito dei simboli cristiani nelle scuole e altrove

Demenza precoce, afasia da ictus o da trauma, e altri malanni che comportano perdita della memoria… sono tra le più gravi patologie perché precludono alla persona la relazione, la rendono oggetto di compassione e priva di iniziative di sorta. C'è da temere che una perdita collettiva della memoria cristiana stia producendo danni analoghi ma vasti, a livello culturale e sociale, a causa di un progressivo oscuramento di simboli, carichi di memoria e significati cristiani, che abitano ab immemorabili luoghi e ambienti pubblici e istituzionali. Pensiamo al crocifisso, ma anche al presepio e alle recite di Natale che da sempre sono manifestazione di vitalità festosa nelle scuole. In questi luoghi pubblici, questi simboli non hanno più cittadinanza…: “perché occorre rispettare i non cristiani… e perché le scuole sono istituzioni laiche”, si dice. E molti lo sostengono convintamente, compresi cattolici formati, praticanti e impegnati in ambito parrocchiale ed ecclesiale.

Accade di riflettere su quello che ciò comporta, anche leggendo quanto scrive il politologo laico Giovanni Sartori nell'editoriale del Corriere di domenica 20 dicembre.

Di fronte al problema sociale e politico della integrazione degli immigrati e in particolare degli islamici, scrive, la gente sa solo confrontarsi a colpi di ingiurie e in chiave di razzismo. La Chiesa, “è accogliente”, dice, perché “si sa, deve essere misericordiosa”. Ma sullo scenario sociale il conflitto vede l'un contro l'altro schierati i fronti politici, e quanti ne dibattono sono armati non di pacate argomentazioni, ma di slogan propri del “politicamente corretto”e di accuse reciproche. Tanto più in un contesto di “paura”, perché (sempre secondo il politologo) non si riflette abbastanza sul fatto che gli Islamici sono portatori di religione e culture segnate da “un invasivo monoteismo teocratico che dopo un lungo ristagno si è risvegliato e si sta vieppiù infiammando”.

Ma davvero la Chiesa sa solo essere misericordiosa? Secondo il Concilio, la Chiesa è anzitutto «memoria». Dov'è dunque la memoria dei significati che quei simboli portano con sé, chi se ne fa portavoce? Perché in una scuola dell'infanzia o primaria non si possono cantare canzoncine come Tu scendi dalle stelle, e il presepio non può stare nelle scuole medesime o in una corsia di ospedale? Perché i giornalini scolastici portano nelle case gli auguri di Buone Feste, ma non il Buon Natale? “Per rispetto delle altre religioni”, si risponde. E se qualcuno ardisce difenderne la legittimità e suggerisce argomenti, ecco altri, anche cristiani ferventi, a redarguirlo come fondamentalista, o con l'epiteto di leghista.

In realtà la smemoratezza e afasia di cristiani che giustificano l'oscuramento di simboli là dove sono di casa, per remota tradizione e cultura avita, dicono il bisogno urgente e vasto di formazione, perché tutti sappiano riconoscere e ridire i significati inequivoci del simbolo cristiano – sia esso il presepio, o il crocifisso, o la recita natalizia di bambini. Significati che non sono mai per dividere ed escludere, ma per abbracciare e com-prendere. I simboli hanno semplicemente bisogno che volti umani gli diano voce, suoni, parole e soprattutto li illustrino con coerente testimonianza di vita operosa. Anche il darvi voce e dirne i significati è dunque grande opera di carità. Le tesi e posizioni di schieramento politico o ideologico non bastano.

Non v'è dubbio che di alcuni gruppi etnici la integrazione è un processo lungo e che va guidato, ai vari livelli di comunità, di scuola, di istituzioni, ma non velando o nascondendo la identità religiosa propria e altrui. L'integrazione non si favorisce escludendo i simboli dall'arena pubblica, ma restituendo loro il significato più profondo. Che – sia detto specialmente per i simboli più significativi della tradizione cristiana – è sempre un significato che si spiega in nome dell'Uomo, perché vero Uomo è colui che è nato dalla Vergine a Betlemme e che anche gli islamici venerano.